TEAM 2001 ROMA

LA PROPULSIONE DELLA BICICLETTA

 

TECNICA E CURIOSITÀ

 

 

 

Quaderno n. 16

 

 

A cura di  Lino e Laura

 

 

17/04/2005

 

 

 


 

1          INTRODUZIONE

Nella mia vita ho conosciuto moltissimi appassionati di bicicletta, appassionati di tutti i tipi:dagli artigiani telaisti e costruttori (mio zio Sandro era uno di questi) ai professionisti (casa mia era frequentata anche da Giuseppe Olmo), dagli allievi ai dilettanti, dai semplici turisti  a quelli che usavano ed usano la bicicletta per recarsi a scuola o al lavoro ed ancora oggi, che sono oltre gli “anta”, sono sempre presente nell’ambiente del ciclismo.

Sulla bicicletta si è detto e scritto di tutto ed  oggigiorno poi si sa, siamo tutti un po’ “professori”; cari amici, non voglio prendere in giro nessuno con questa mia asserzione, ma tra la televisione e le tante riviste specializzate ognuno di noi ha ormai la possibilità di conoscere a fondo il proprio mezzo meccanico e di tenersi aggiornato sulle continue novità, forse troppe, offerte dal mercato. Non si fa in tempo a godere di un nuovo dispositivo che il giorno dopo è già obsoleto! Siamo in pieno consumismo e quindi dobbiamo adattarci anche se penso che sarebbe importante non lasciarci abbagliare da tutto ciò che “luccica” e saper apprezzare davvero il bene che cavalchiamo.

Detto questo penso che una panoramica sulle macchine che hanno preceduto la nostra “superleggera” si utile. Uno sguardo al passato può farci considerare il presente sotto un altro punto di vista, sicuramente più ottimistico, ed il futuro…. Che dire per il futuro, io posso solo consigliare di stare accorti!

 

1.1      Panoramica

 

La mia panoramica si concentra sui sistemi di “spinta” che sono stati escogitati da tanti anni fa fino ai nostri giorni per far avanzare un mezzo con due ruote, in altre parole parleremo della propulsione della nostra “macchina bicilindrica”.

 

Per fare ciò ho dovuto “spulciare” tutto il materiale cartaceo in mio possesso ed estrarre le notizie utili per questo quaderno. Non ho inventato nulla, ho solo usato il materiale sia scritto che fotografico e grafico prodotto da altri, sicuramente più esperti di me in materia, ed unire tutte queste tessere fino a comporre un unico mosaico, un testo più o meno completo ed interessante a disposizione degli appassionati di ciclismo.

Spero di esserci riuscito, se ci sono delle critiche da parte di qualche lettore sarò ben lieto di ascoltarle e discuterne assieme.

Un saluto a voi tutti e…buona lettura!

 

Vorrei comunque subito chiarire che durante le varie presentazioni mi permetterò qualche commento personale, ma non voglio certo fare né il moralista né il critico a tutti i costi, saranno commenti dettati dall’esperienza e dall’amore per le realtà tecniche.

Ciao a tutti da Lino.


 

 

2         INVENZIONE DELLA RUOTA

 

Cominciamo dalla ruota che è chiaramente la parte più importante ed indispensabile della nostra macchina.

É stata una invenzione oppure è nata per caso?

Non ci sono notizie precise su chi, come e quando sia stata inventata la ruota. In natura non ci sono esempi di ruota da poter imitare e così l’uomo primitivo all’inizio trasportava i pesi sulle proprie spalle, poi usò delle slitte su pattini ed infine, (ma questo probabilmente non prima del 4000 a.C. cioè 6000 anni fa!), nella zona del delta dei fiumi Tigri ed Eufrate un certo tizio, un Sumero, inventò una ruota col perno.

La più antica rappresentazione di una ruota si trova in un mosaico d’argilla a Ur, in Mesopotamia e risale al 3500 a.C., si tratta di una ruota piena di legno fatta di elementi legati con traverse, incastrati fra di loro e rivestiti da una fascia di cuoio.

La figura che segue rappresenta invece un modello in argilla di un carro impiegato dalla civiltà Harappa nella valle del fiume Indo all’incirca nel 2000 a.C.

 

 

La prima ruota a raggi sembra sia stata inventata dagli antichi Egizi per rendere più leggeri e veloci i loro carri da guerra. Per evitare il loro rapido consumo, le ruote venivano ricoperte con bande di rame ( i primi copertoni!).

 

 

Con questa invenzione l’uomo ha fatto il primo passo verso la nostra bici fino ad arrivare ai giorni nostri in cui le ruote girano quasi da sole!!!

Notare che tra le due ruote ci sono circa 6000 anni di storia e di tecnologia.

3         PRIMORDI

Come ben sanno gli amici ciclisti le ruote moderne girano quasi da sole, rimane però quel “quasi” che ci disturba (o ci fa felici!?), cioè la bicicletta bisogna “spingerla” per farla andare e in tanti hanno pensato.......

3.1      Leonardo

Sembra doversi al genio del nostro grande Leonardo da Vinci, nel secolo XVI, la prima idea concreta di bicicletta. Leonardo infatti studiò la possibilità di costruire un veicolo a due ruote con trasmissione a catena. Nello suo schizzo sottoriportato si evidenziano benissimo un telaio portante, due ruote uguali fra loro, la trasmissione a catena azionata da un meccanismo a pedali. Manca però un sistema per curvare e quindi per mantenere in “piedi” la sua macchina. ( vedi quaderno n.1 – perché la bici sta in piedi). Purtroppo tale prototipo non è mai stato costruito e dopo l’intuizione di Leonardo dobbiamo attendere parecchi tempo prima di rivedere una “macchina”simile alla bicicletta.

Ecco la copia del suo schizzo.

 

                                  

3.2      Prime realizzazioni

Per incontrare il primo vero antenato della nostra bicicletta dobbiamo aspettare fin dopo la Rivoluzione Francese. Infatti l’invenzione di un veicolo a due ruote chiamato ”celerifero”o “velocifero” pare sia del 1790 -1791 ad opera di un francese, il conte Mede di Sivrac. Era costituito da un’asse di legno che aveva anche funzione di sella, due forche e due ruote uguali, sempre di legno e divenne ben presto popolare soprattutto come gioco per adulti. Il conte non brevettò la sua invenzione che così fu ripresa da molti costruttori.

La realizzazione “commerciale” più nota probabilmente è stata quella avvenuta nell’anno 1800 circa, ad opera di un certo Drais von Sauerbronn, inventore tedesco; sicuramente la sua “invenzione” ha goduto di una certa popolarità per meritarsi addirittura un proprio nome “Draisina”. Il sig. Drais applicò due ruote ad un telaio, ideò un sistema di sterzo, ma non andò oltre; a differenza di Leonardo non vi applicò alcun sistema meccanico di “propulsione”, la draisina veniva mossa dalla spinta dei piedi del “ciclista” che toccavano terra, stando a cavalcioni del mezzo.

Le cronache mondane dell’epoca raccontano che i giovani signorini di allora caracollavano trionfanti nei parchi delle grandi città facendo bella mostra della loro nuova attività davanti a eleganti e un po’ intimorite signorine e si pensa che addirittura nei primi del 1800 il velocifero venisse usato da alcune ditte per il servizio a domicilio, una specie degli attuali pony-express su motorino!......

Per pura curiosità aggiungo che ci sono state anche delle gare con queste draisine; ad esempio nel 1819 il vincitore di una gara in Baviera percorse i 10 Km alla rispettabile media di 19,048 Km/h.

La figura che segue mostra un atleta in azione (in realtà è un atleta “moderno” che sta dando una dimostrazione pratica).

 

                                  

3.3      Prime realizzazioni

Con questa prima macchina, la tecnica è salita sul secondo gradino delle conquiste tecnologiche; anche se spinta con i piedi, ora gli uomini, almeno gli europei, avevano la prima macchina a due ruote spinta da propulsione umana.

4         PEDALI – TRASMISSIONE

La incontentabilità della mente umana e la sua curiosità stuzzicarono l’ingegno di qualcun altro, un tale sig. X, pensò di migliorare questa macchina, aumentare il suo rendimento e la sua comodità; la fantasia di artigiani o di inventori si è sbizzarrita e sono stati applicati alla nuova macchina vari sistemi di propulsione: spinta con i piedi (stavolta non per terra) o con le mani.

 

4.1      Propulsione a mano

La propulsione a mano ha avuto i suoi bravi inventori e cultori; dalla Francia si è avuto il “monociclo” e dall’Italia il “il velocimano”; questi nuovi sistemi agivano con apposita trasmissione sulla ruota anteriore che naturalmente fungeva anche da sterzo; il “tutto avanti” come le moderne auto!

Alla mostra del Ciclo e del Motociclo di qualche anno fa è stata presentata un bici da fuori strada con propulsione “anche a mano”, ma ne parlerò ancora più avanti.

4.2      Propulsione a pedali

Dopo il velocifero (forse a causa del forte consumo di suole di scarpe), qualcuno pensò di applicare due pedali alla ruota anteriore e la nuova macchina viaggiò.

Seguirono altre invenzioni e miglioramenti delle macchine esistenti e, in una delle più sofisticate invenzioni dell’epoca, la potenza umana veniva trasmessa alla ruota posteriore tramite aste e leve azionate con pedali, come mostrato qui di seguito (modello del 1840).

                       

Dalla figura risulta abbastanza evidente il funzionamento della macchina; spingendo avanti e indietro i due “quasi” pedali (come nelle automobiline dei ragazzini) imperniati nella zona sterzo, si trasmette lo sforzo alle due leve solidali alla ruota posteriore.

L’inventore di questa macchina ha preso in considerazione, forse per la prima volta, anche il problema del ”rapporto di trasmissione” perché i precedenti modelli che avevano i pedali montati sulla ruota anteriore obbligavano ad una pedalata troppo agile.

Qui il problema è stato risolto usando leve di differenti lunghezze, sono lunghe quelle anteriori e sono corte le due posteriori; la lunghezza della odierna pedivella potrebbe corrispondere alla lunghezza totale delle due leve anteriori (dal punto di fulcro ai pedali).

Da misurazioni effettuate sulla figura si può dedurre che il “rapporto di trasmissione” è pari a quasi 3,6 corrispondente a circa un odierno rapporto di 52/14 = 3,7. Questo sembra essere decisamente un rapporto “duro”per un simile mezzo, si vede che era un mezzo riservato solo ai “fusti”!.

Osservando la disposizione delle due leve posteriori ho notato un suo possibile difetto dovuto al fatto che quando le leve si trovavano ambedue in posizione orizzontale (una indietro e l’altra in avanti), si trovavano nei classici “punti morti” e la bici non poteva partire con i pedali; comunque NON essendoci sicuramente la ruota libera, un piccolo spostamento a mano ovviava all’inconveniente; ed in movimento la massa uomo faceva da volano e si evitavano i detti punti morti.

Dalla figura si può anche notare che l’inventore aveva intuito la necessità di avere un sistema di sterzo inclinato per una migliore guidabilità e stabilità del mezzo. (vedere Quaderno n.2 – Perché la bici va diritto anche senza mani ).

4.2.1      IL BICICLO

Non si può andare avanti senza  parlare del “biciclo”, quella macchina con l’enorme ruota anteriore.

Credo che tanti si siano domandati, (e anche il sottoscritto anni fa) del perché di questa ruota; era solo una trovata più o meno pubblicitaria, una novità per giovani spavaldi e spericolati? Una curiosità? Poteva essere stata tutto quanto sopra scritto, ma il motivo essenziale è tecnico, con la grande ruota motrice l’inventore aveva aumentato il rapporto di trasmissione.

Ad ogni pedalata completa la ruota percorreva una distanza superiore rispetto alle realizzazioni precedenti che obbligavano il “ciclista” ad una pedalata troppo agile.

Facciamo ora un po’ di conti.

Dalla foto che segue si può supporre, facendo un confronto con le gambe del pedalatore, che la ruota anteriore del biciclo avesse un raggio dell’ordine dei 75 cm. questo vuole dire che ad ogni giro completo della pedalata, la macchina avanza di 75 * 6,28 = 4,7 metri; un buon rapporto!

 

                                  

Confrontando questo dato con una moderna bici si può dedurre che lo stesso avanzamento, per ogni pedalata, si ottiene con un rapporto dell’ordine di 39/18 = 2,16.  Essendo il raggio delle ruote del “28” di circa 0,33 metri si ha

2,16 * 0,33 * 6,28 = 4,5 metri .

Una cosa è certa riguardo questo biciclo, la sua spettacolarità; dal momento di saltarci sopra (c’era anche un predellino), al tipo di pedalata, fino all’arrivo, gli spettatori (ci sono state anche gare) si saranno certamente divertiti.

Circa nel 1890 è stato costruito il “biciclo Crypto” che montava una ruota anteriore di dimensioni più ridotte grazie al fatto che i pedali trasmettevano il moto alla ruota mediante una moltiplica ed un pignone, sempre montati davanti. C’è stata una “industrializzazione” di questo tipo di bici, il modello si chiamava Kangaroo.

4.2.2      TRASMISSIONE A CATENA

Lasciando indietro le trisnonne della nostra bici curiosiamo un po’ sulle prime bici con trasmissione a catena, ruota motrice quella posteriore; ecco rappresentati due modelli fine 1800:

                                  

Ambedue i modelli hanno trasmissione a catena con pignoni fissi; il primo modello, oltre allo sterzo inclinato, ha anche la forcella molto curvata, così la bici ha una notevole stabilità.

4.3       CATENA E PIGNONI

4.3.1      Catena standard

Non ho trovato dati riguardo all’inventore della catena, probabilmente nella nascente industria esistevano già le catene per altri tipi di macchine e quindi è stato solo questione di un adattamento di dimensioni; posso dire che molto probabilmente la nostra catena deriva dal mondo anglosassone perché le sue dimensioni sono date in “pollici” e non in centimetri (passo da ½ pollice pari a circa 12,7mm).

Non credo sia il caso di dilungarmi sul come è fatta una catena, tutti i ciclisti l’hanno vista almeno una volta e si sono pure sporcati le mani, però posso dire che rappresenta un notevole esempio di efficienza e in condizioni ottimali di esercizio, si “mangia” solo poco meno del 3% della potenza che trasmette, questo grazie al sistema perno/rullo col quale si rende minimo l’attrito radente tra i due componenti e tra loro ed i denti degli ingranaggi sui quali “passa”.

Col tempo la catena si è sempre più “ristretta” perché con l’aumentare del numero di pignoni sulla ruota posteriore, essendo quello spazio alquanto obbligato, è stato giocoforza diminuire sempre più la distanza tra un pignone e l’altro e fare gli stessi sempre più sottili. Attualmente la sua larghezza totale va da 6,8 a 7,5mm.

Il numero delle maglie è dell’ordine di 113, ma in pratica questo numero può essere aumentato o diminuito di una o più unità a seconda degli ingranaggi usati e della lunghezza del carro posteriore della bici.

La sua resistenza alla trazione, secondo le norme ISO o similari, è tra gli 800 e 1000Kg; quindi se tutti gli accoppiamenti perni/piastrine sono normali, non c’è alcun pericolo di rotture (che sarebbero pericolose per il ciclista).

La bozza di disegno che segue evidenzia le misure standard ed un sistema di controllo del consumo della catena effettuato con i puntali di un normalissimo calibro.

                                  

Qualcuno ha prospettato come accettabile per le bici da gara solo un allungamento dello 0,8%, una tolleranza che sembra alquanto ristretta, tenendo presente che l’allungamento ammesso per una catena industriale è dell’ordine del 2-3%.

 Secondo me, la decisione su quale è il valore della tolleranza accettabile, dipende anche dal tipo di uso che se ne fa della bici; per le tranquille passeggiate della Domenica si possono accettare anche tolleranze vicine al 2%, mentre per le bici da gara non si può tollerare un consumo così elevato, pena il salto della catena (vedere il quaderno n. 15 - perché la catena salta).

In presenza di allungamenti del 2 - 3%, , riferendosi al disegno precedente, si dovrebbe leggere sul calibro, al massimo, da 134,5mm a 136mm.

Teniamo anche presente la seguente prova; se si appende una catena di 113 maglie, che ha subito un allungamento del 2%, la sua lunghezza totale diventa quanto una  catena  nuova da 115 maglie. Questo l’ho detto perché......sembra una barzelletta ma mi è accaduto veramente; un amico mi ha chiesto se avevo una catena nuova da dargli perché voleva fare un po’ di manutenzione alla sua bici, era alle prime armi come meccanico ma ci voleva provare e aveva anche diversi attrezzi per la bici. 

Gli diedi la catena nuova (113 maglie); ma il giorno dopo è ritornato con le due catene, quella vecchia e quella nuova, un po’ adirato perché gli avevo dato una catena più corta della sua!!! Gli ho fatto contare le maglie (per castigo), la sua vecchia era di 112 maglie! Mi “confessò” che non aveva mai supposto che si potesse arrivare ad un simile allungamento totale.

Ogni 12,7 mm la catena ha degli “spazi”e quindi deve ingranare con delle ruote aventi dei “denti”; queste ruote sono generalmente chiamate con due nomi; “pignoni” quelle che sono calettate alla ruota motrice e “moltipliche” quelle che sono calettate ai pedali.

Ambedue queste ruote hanno i denti opportunamente sagomati per favorire il loro inserimento e la loro uscita dagli “spazi”della catena.

La loro sagomatura è praticamente rimasta uguale nei tempi, ma in questi ultimi anni, con l’avvento dei “cambi” sincronizzati, sono state effettuate speciali sagomature, sopratutto sui fianchi di denti che durante la “cambiata” si vengono a trovare in posizioni particolari, questo per facilitare il passaggio ( la deragliata) della catena da un pignone all’altro e da una moltiplica all’altra.

4.3.2      Catena da pista

Quando io ero giovanotto e frequentavo il Vigorelli (anche per ragioni di lavoro), vedevo che le bici da pista usavano delle catene diverse da quelle delle bici da strada, avevano una maglia normale e una otturata da apposite piastrine,  le moltipliche e pignoni naturalmente avevano un dente si e uno no, cioè il passo era di 1 pollice; gli esperti dicevano che veniva usato questo tipo di catena  perché “sfarfallavano” meno durante gli scatti e le bagarre.

Però con questo tipo di catena era ridotta la gamma del numero di combinazioni di denti (riferiti a quelli del passo standard) perché si potevano usare solo pignoni e moltipliche con numero di denti pari, sempre riferiti al passo standard.   Se ad esempio si usava un pignone da pista di 7 denti, questo corrispondeva ai 14 denti del passo standard, un equivalente del pignone da strada da 13 denti non si poteva usare.

4.3.3      CATENA DI GOMMA

Verso il 1980 è stata presentata in Germania da due ditte italiane, una operante nel campo “gomma” e l’altra costruttrice di bici,  una bicicletta munita di una catena di gomma, o meglio di una cinghia di gomma. Questa cinghia, il pignone e la moltiplica erano opportunamente dentellati, la trasmissione della potenza avveniva senza problemi, il sistema era silenzioso, non necessitava di lubrificazione e quindi non sporcava.(seguono due foto)

La bici era “da passeggio” ed era dotata di cambio nel mozzo posteriore, molto usato nei paesi nordici (Germania, Olanda,  Belgio ecc.).

Però il nuovo sistema presentava un serio inconveniente, la cinghia non aveva giunto facilmente smontabile, e il suo inserimento rappresentava un bel problema e forse proprio per questo motivo non c’è stato lo sperato sviluppo commerciale.

                                                   

 

Io ricordo bene la presentazione di detto sistema effettuato da una rivista italiana specializzata nel campo ciclistico e ricordo anche di aver commentato (purtroppo solo in privato) che se il difetto era rappresentato solo dalla presenza del fodero posteriore orizzontale destro, bastava alzarlo e far passare la cinghia di sotto, come mostra il disegno che segue; pochi anni dopo ho visto delle bici da fuori strada, (macchina per la quale tanti si sono sbizzarriti anche con soluzioni alle volte assurde) con il detto fodero esattamente sollevato come avevo pensato io per la trasmissione a cinghia!! Chissà se qualcuno dei vecchi progettisti si sono accorti della possibile soluzione!

                                  

Attualmente di telai con il fodero orizzontale rialzato ce ne sono a bizzeffe per le bici da fuori strada e nulla vieta di applicare questa geometria anche per le bici da strada.

Recentemente ho letto su una rivista che una ditta francese vende la “New Pop” con la trasmissione a cinghia di gomma, speriamo di vederle anche in Italia e poi ci sono anche delle motociclette di grossa cilindrata dotate di trasmissione a cinghia.

4.4      RUOTA LIBERA

Quella della ruota libera è stata proprio una grande invenzione, siete d’accordo? C’è poco da dire, è una grande comodità.

Come funziona? Il sistema è basato sulla possibilità che una serie di “cricchetti” spinti da molle si incastrino in apposite tacche quando il pignone gira nel senso di produrre il movimento della bici mentre si possono abbassare quando il corpo dentato sta fermo o gira indietro in occasione di una contropedalata.

 

La foto mostra un cricchetto con la propria molla fissato alla parte “avvitata” sul mozzo, la parte scura è il corpo pignone.

                                  

La situazione mostrata dalla figura può essere realizzato con diverse soluzioni, ma il principio rimane lo stesso sia per pignoni con una sola corona sia per quelli con 10 corone a ”cassetta”.

Alle volte però i ciclisti da “corsa” sono degli autolesionisti, dei masochisti; per anni giovani allievi, dilettanti, cicloamatori (anche lo scrivente da giovane) ed esperti professionisti, alla ripresa dell’allenamento dopo il riposo invernale, modificavano la bici per pedalare scomodamente e agilmente con il pignone fisso per almeno 500 Km.......Però era bello!

Prima della invenzione del cambio, le bici da gara montavano sulla ruota posteriore un pignone su ognuno dei due lati del mozzo, uno aveva un numero di denti per la pianura e uno un numero di denti per la salita, il cambio di rapporto avveniva girando la ruota posteriore, i forcellini posteriori offrivano la possibilità di sistemare la ruota più avanti o più indietro a seconda del pignone usato; e.........allora non c’erano i bloccaggi a eccentrico con la leva, c’erano solo i “galletti” da svitare e riavvitare.    Ecco una piacevole curiosità: è stato proprio a causa della difficoltà di svitare con le mani intirizzite dal freddo i galletti della ruota bucata che ha spinto Tullio Campagnolo a pensare ed a realizzare i famosi bloccaggi a eccentrico con levetta (segue disegno), che da anni assicurano il blocco e la stabilità delle nostre ruote.

 

 

                                        

                                               La foto evidenzia uno dei “vecchi” galletti

 

particolare del bloccaggio Campagnolo

 

4.5      IL CAMBIO

L’ invenzione della ruota libera ha favorito anche lo sviluppo di equipaggiamenti atti a cambiare il rapporto di trasmissione del movimento, dai pedali alla ruota, equipaggiamenti erroneamente chiamati “cambi di velocità”.

Siamo tutti automobilisti, oltre che ciclisti, e quindi non c’è bisogno di spiegare la necessità di avere un cambio, il quale NON CAMBIA LA VELOCITÁ del mezzo; ma cambia il RAPPORTO DI TRASMISSIONE tra la sorgente della potenza e l’utilizzazione; il cambio del rapporto avviene proprio in ragione della velocità che ha o che può assumere il mezzo in relazione alle difficoltà del percorso, alla potenza del motore ed alla volontà del ciclista; stop!

Cambiare il rapporto di trasmissione significa in pratica usare ruote dentate ( pignone e/o moltiplica) con diverso numero di denti a seconda della necessità, per esempio, con una moltiplica di 52 denti ed un pignone di 13 denti si ha un rapporto di 52/13 = 4, mentre con lo stesso pignone ed una moltiplica di 39 denti si ha un rapporto di 39/13 = 3, ecc. ecc.

Per un computo completo del rapporto tra il punto di applicazione della potenza (pedale) ed il punto di utilizzazione (contatto della gomma col terreno), non basta conoscere il rapporto tra i denti dei due ingranaggi, bisogna sapere anche la lunghezza della pedivella ed il raggio della ruota.

Normalmente nelle tabelle pubblicate sulle riviste specializzate si tiene conto solo del raggio o della circonferenza della ruota motrice, tralasciando il  fatto che la potenza è applicata tramite la leva formata dalla pedivella.  La sua lunghezza standard, valevole per le bici da turismo e da città è di 17 centimetri, ma per le bici da corsa questo dato non è fisso ( vedere quaderno n. 10 – problemi relativi alla bici su misura), può variare benissimo da 16 a 19 centimetri che corrispondono a variazioni in “denti”(rispetto ad una moltiplica di 52 denti) rispettivamente di meno 4 denti ( 48 denti)  e più 6 denti (58 denti), quindi bisogna riqualificare il ruolo della pedivella.

Torniamo al cambio; io ho vissuto sulla mia pelle, o meglio sulle mie gambe, quasi tutta la trafila dei cambi; dalla bici senza cambio, al Vittoria, al Vittoria Margherita, al Cervino, allo Stelvio, al Campagnolo a bacchette, al Simplex, Campagnolo, al Suntour (ottimo) ecc.

Ora sono fermo all’Ergo Power a 8 pignoni e penso di fermarmi qui.

Il cambio Vittoria in origine era praticamente un tendicatena a mano, poi ha subito varie modifiche riguardanti il sistema di spostamento della catena, dallo spostamento a mano si è passati alle due palette, come nella figura che segue, ecc.

La cambiata si doveva effettuare in tre momenti, 1) allentare con la mano  il tendicatena, 2) pedalare indietro e contemporaneamente spostare la catena, 3) ritendere la catena.

Ecco una foto del cambio Vittoria con le due palette per lo spostamento della catena.

 

Ulteriori modifiche apportate al cambio avevano il tendicatena a molla ed il deragliatore era sotto il pignone (Cervino), cioè agiva sul ramo non in tensione della catena e quindi si poteva cambiare pedalando normalmente.

In seguito sul mercato sono apparsi vari tipi di cambi sempre più facili da azionare; con una sola manovra (una levetta posta sul tubo inclinato del telaio, ed un cavetto d’acciaio inguainato) si poteva spostare la catena sui vari pignoni (massimo3 o 4), la tensione della catena era mantenuta costante, o quasi, dal cambio stesso. Le marche commercializzate erano al massimo quattro, io ricordo Bestetti e Stelvio, ma il più noto ed anche il più funzionale era il “Simplex”.

La base di funzionamento di questi cambi era e lo è tuttora, il “quadrilatero”, nel senso che era sfruttata la caratteristica di tutti i quadrilateri i cui lati rimangono sempre paralleli qualunque siano gli angoli compresi tra i lati; per questo il lato inferiore del quadrilatero che opera lo spostamento della catena rimane sempre parallelo al lato superiore solidale al forcellino posteriore.  É inutile dilungarsi su questi problemi tecnici, i moderni cambi (Campagnolo, Shimano, Suntur. Mavic, ecc.) sono i “nipoti” di detti cambi.

 Questi cambi hanno rappresentato un grande passo avanti nella comodità e prontezza della cambiata, anche se, alla luce della sicurezza offerta dai cambi moderni,  (non si è mai contenti) si può dire che erano più adatti per bici da turismo perché non permettevano di usare pignoni con una certa differenza di denti e la tensione della catena era difficilmente ottimale e proprio per questo in caso di cambiata su strade sconnesse (normali a quei tempi, ma anche ora non si scherza!) l’azione poteva trasformarsi in un salto di catena.

La foto che segue illustra uno dei primi modelli Simplex.

4.6      CAMPAGNOLO

Bisogna dedicare un capitolo completo a questo nome.

4.6.1      Cambio ad aste

Ho già accennato ai “bloccaggi” Campagnolo, ebbene per lui, da questi bloccaggi al cambio ad aste il passo è stato breve.

Il cambio consisteva in due aste attaccate al fodero posteriore pendente, una sbloccava e ribloccava la ruota al forcellino e l’altra spostava la catena sul pignone voluto, i forcellini erano di particolare fattura, erano a cremagliera e su questa rotolava una parte dentata del perno in modo che la ruota rimanesse sempre centrata.

Le manovre da fare erano le seguenti (quasi come per il cambio Vittoria): 1) si allentava l’asta più lunga e così si sbloccava la ruota posteriore dai forcellini, 2) si contropedalava e contemporaneamente si spostava l’asta più corta verso l’esterno o verso l’interno a seconda se si volesse che la catena andasse su un pignone più piccolo o più grande, (durante questa manovra la ruota posteriore andava indietro se si usava un pignone più piccolo o veniva più avanti se si usava un pignone più grande), 3) si stringeva l’asta più lunga, mentre con apposito gioco di dita sull’asta di comando si regolava la tensione della catena, e si riprendeva a pedalare;

Ci voleva veramente molta abilità per effettuare la cambiata con la maggior rapidità possibile, specialmente in salita non c’era tempo da perdere, la bici poteva fermarsi!

In verità era un cambio non facile da usare, bisognava allenarsi ad usarlo, era adatto per ciclisti esperti; in un secondo tempo è stato prodotto un cambio con aste di comando più lunghe e quindi più “raggiungibili” da un ciclista in giacca e cravatta.

Campagnolo produsse poi  anche un “monoleva” che facilitava le manovre, Serse Coppi vinse la Parigi-Roubaix nel 1949 con questo tipo di cambio.

Un valente artigiano di nome Ghisallo cercò di rendere questo cambio ancora di più facile uso eliminando la necessità della contropedalata, ma il tutto è stato annullato dall’avvento del cambio Simplex.

Nonostante tutto questo cambio aveva le sue qualità, era leggero, non veniva danneggiato in caso di cadute ed una volta effettuata la cambiata tutto rimaneva sicuramente a posto, inoltre la bici da corsa era molto elegante.

Ammirando, non si può dire che così, l’immagine di Gino Bartali al Tour, si può intravedere la sua manovra finale di bloccaggio.  I professionisti erano così esperti che lo stesso Bartali in un arrivo in pista al temine di una tappa del Tour, cambiò rapporto addirittura in fase di volata e vinse la tappa.

                       

                                    Bartali al tour col cambio a bacchette Campagnolo

4.7      DERAGLIATORE centrale

Uno dei pregi dei moderni cambi è quello di poter “recuperare” sempre la lunghezza della catena, cioè di mantenerla sempre “in tiro”, così  è stato possibile aumentare il campo di variazioni del rapporto dotando il sistema di propulsione di una seconda o anche terza (anche quarta in bici da fuori strada) moltiplica; il meccanismo che agisce sulla catena spostandola da una moltiplica all’altra, come tutti sanno, è il deragliatore e la catena viene mantenuta alla giusta tensione dalla parte tendicatena del cambio posteriore.

Anche il deragliatore venuva comandato mediante levetta o manopola e cavetto d’acciaio fissato al tubo inclinato del telaio o al manubrio; naturalmente in questi ultimi anni anche il comando del deragliatore ha seguito tutte gli aggiornamenti operati sul sistema cambio; ne parlerò più avanti.

4.8      CAMBIO NEL MOZZO

4.8.1      FRENO TORPEDO

Parto dal mozzo/freno posteriore “Torpedo” per arrivare a illustrare tutte le possibilità che può offrire il mozzo/cambio posteriore.

Il  mozzo Torpedo permette la trasmissione della potenza alla ruota posteriore ed a pedali fermi si comporta come una normale ruota libera, mentre contropedalando, permette una frenata, dolce o brusca, a seconda della forza applicata ai pedali.

I vantaggi di questo tipo di freno si evidenziano in zone piovose, molto umide perché il sistema è debitamente protetto e frena sempre; il suo difetto principale è il surriscaldamento in caso di lunghe frenate, quindi è molto valido in zone particolarmente fredde (ecco forse un motivo del suo frequente uso in Paesi del centro nord Europa).

Nonostante quanto detto sopra, il grande Binda ha vinto il campionato del mondo nel 1927 ad Adenau  con una bici dotata di mozzo/freno contropedale.

Le bici dotate di questo mozzo erano particolarmente eleganti perché non avevano ne leve ne fili per i freni, al massimo erano dotate di freno anteriore.

4.8.2      CAMBIO

Il cambio nel mozzo, almeno da noi, non è mai stato preso troppo in considerazione, ad esempio, si dice che era stata fatta una grossa offerta a Learco Guerra, “la locomotiva umana”, perché corresse il campionato del mondo del 1931 a cronometro (170 Km, Copenaghen, l’unico per tanti anni, da lui vinto), con una bici dotata di un tale cambio, ma ”l’affare” non si è concluso e forse si è conclusa anche la fortuna del cambio nel mozzo in Italia.

Comunque in questi ultimi anni c’è stato un certo “revival” di questo cambio da parte di varie ditte quali Shimano (poteva mancare?) e Sach–Huret, Maillard, Sedis, Sturmey-Archer, e c’è anche un prodotto italiano, il “pentasport Torpedo” dotato di 5 rapporti e freno contropedale.

C’è tutta una gamma di prodotti adatta a soddisfare tante esigenze e “borse”; per le bici da turismo, da città, queste ditte propongono vari tipi di mozzi/cambio, a 3, 4, 7 rapporti, con freno contropedale od a espansione, anche con dinamo; per esempio una bici da passeggio messa in commercio è dotata di un mozzo/cambio a 3 rapporti (che sostituirebbe la tripla moltiplica), più un normale cambio.

 

Forse la mancata diffusione di questo tipo di cambio è anche dovuta alla sua “segretezza”, tutto è chiuso dentro quel cilindro e qualcuno nutre dei dubbi in proposito; ma come funziona questo marchingegno? Cerco di dare una spiegazione, seguitemi.

Il cambio è basato su sistemi di ruotismi epicicloidali, gli stessi sistemi usati anche in molti cambi automatici  automobilistici, quindi non sono apparati misteriosi da snobbare.

La figura che segue mostra un insieme/spaccato del mozzo/cambio/freno della Torpedo

 

                       

 

Il sistema base di funzionamento è mostrato dai due disegni che seguono:

                                  

Sommariamente il funzionamento è il seguente:

                                  

Quando la potenza è commutata sui satelliti (mediante la leva di comando), questi ruotando attorno al perno/pignone fisso trascinano la corona che è stata resa solidale col mozzo, se invece la potenza è commutata sulla corona, lei trascina i satelliti che sono stati resi solidali col mozzo. NB. i diametri dei tre ruotismi del disegno NON sono delle dimensioni reali

Nel disegno sono illustrate solo due possibilità, però questo sistema base ne può comandare un altro simile e così via si, può arrivare a ben sette rapporti.

 

Il valore dei rapporti in questi tipi di cambi sono dati in modo diverso rispetto a come siamo abituati con i cambi tradizionali (per noi); vengono esclusi dal computo la moltiplica ed il pignone e vengono indicati le variazioni che avvengono nel cambio rispetto alla situazione “zero” cioè quando non c’è variazione di rapporto tra il pignone e la ruota. Segue un esempio per un cambio di 4 rapporti.

Marcia                         1                      2                      3                      4

Rapporto                     1                      1,24                 1,5                   1,84

Corrisponde a: 20 d                 16 d                 13 d                 11 denti

 

Esempio:  se la bici monta una moltiplica di 40 denti si hanno i seguenti rapporti “usuali”

 

Marcia                         1                      2                      3                      4

Rapporto                     2                      2,5                   3                      3,6

Calcolo                        40/20               40/16               40/13               40/11

 

Si può notare che i rapporti sono piuttosto “lunghi”, cioè distanti

 

 

Nel caso del cambio a 7 rapporti si ha:

 

Marcia             1          2          3          4          5          6          7

Rapporto         0,63     0,74     0,84     1          1,15     1,34     1,55

Corrisponde     32d      27d      24d      20d      17d      15d      13d

 

In questo cambio i rapporti sono più ravvicinati, lascio al lettore la gioia di fare il calcolo dei rapporti secondo il metodo “usuale”.

 

4.8.3      Cambio nella moltiplica

Questo tipo di cambio, denominato “excel”, è stato progettato e realizzato negli U.S.A., il  sistema è basato su una moltiplica dotata di 6 scanalature ognuna con 16 tacche corrispondenti a possibili 16 rapporti; la catena, come mostra la foto, ingrana su 6 settori che possono essere spostati mediante comando a leva e cavetto in una delle 16 posizioni, lo spostamento avviene da una posizione corrispondente a un piccolo diametro alla posizione di massimo diametro; un semplice tendicatena  mantiene in tensione la catena come in un normale cambio.

La foto che segue mostra uno spaccato, nella realtà il tutto è chiuso e protetto.

                        .

                                               Spaccato del sistema

 

Dopo aver letto su una rivista di questo cambio, ho scritto al costruttore per poterne avere un esemplare (pagando si intende) ma non ho avuto alcuna risposta.

4.9      Cambio automatico

Sempre per il famoso appetito che viene mangiando diversi “inventori” hanno pensato alla  automatizzazione dell’operazione della cambiata.....(sempre più comodità!).

Dall’Italia 1

Si tratta di un cambio ideato e realizzato in Italia, effettuava (uso il passato perché non ne ho visti attualmente in funzione) la cambiata in relazione alla tensione della catena; la catena passava da un sistema di due rotelline tipo tendicatena,  la sua maggiore o minore tensione, in relazione allo sforzo del ciclista,  faceva cambiare la posizione del sistema che agiva direttamente sul cambio posteriore.

Dall’ Italia 2

 

Qualche decina di anni fa ho letto su una seria rivista che anche Colnago e Ferrari si erano cimentati in questo campo; anche la loro realizzazione era basata su un sistema di cambio inserito nella zona “moltiplica”, però ancora non c’è stato un lancio commerciale.

Deal Drive

Questo cambio è stato realizzato in Inghilterra, all’università di Bath; il nome del sistema è “Deal Drive”; è un cambio con 16 marce, il passaggio da un rapporto ad un altro dipende dalla pressione esercitata sui pedali, quindi non c’è alcun “manettino” di comando. Anche qui un sistema a due rotelle mantiene in giusta tensione la catena.

Al momento dell’acquisto vengono inseriti nel blocco automatico una serie di ingranaggi ad “hoc” in relazione al tipo di ciclista.

Ho avuto notizia che il sistema era in via di commercializzazione ma per ora, almeno in Italia, non ne ho visti in circolazione.

                           

                               vista del sistema Deal Drive senza coperchio

 

Bike – o Matic

Un altro cambio con funzionamento simile al precedente, brevetto americano, era commercializzato in Italia da una ditta italiana col nome di Bike-o-matic, ma anche di questo cambio non ho notizie di una grande diffusione.

4.9.1      CONSIDERAZIONI SUI CAMBI AUTOMATICI

Inizio con lo scusarmi con gli inventori dei precedenti cambi automatici se hanno notato un certo pessimismo tra le mie righe, però la mancanza di bici circolanti dotati dei loro cambi non depone a loro favore, comunque voglio augurare loro che gli sforzi (ed i soldi) profusi, arrivino a produrre sistemi efficienti e commerciabili.

 

Secondo me i sistemi sopra elencati hanno in comune un grosso difetto (salvo in parte il Deal Drive), cioè il sistema tiene conto solo dello sforzo sui pedali mentre altri fattori sono legati al rapporto di trasmissione quali la velocità del momento, il tipo di strada, le attitudini del pedalatore e il suo desiderio del momento; inoltre c’è anche il problema della potenza necessaria per l’attuazione dell’ordine (forza muscolare, pile, dinamo, ecc.).

É un problema difficile quello dei cambi automatici, lo è stato anche per quelli delle auto; non ci sono auto da corsa con cambio automatico, hanno si l’attuatore automatico, ma è sempre l’uomo che comanda.

 

Shimano

Non l’ho inserito assieme ai precedenti cambi automatici perché questo cambio è sostanzialmente diverso e si avvicina alla situazione teorica che ho descritto sopra

La Shimano non poteva mancare in questo campo, ed ecco che ha prodotto un nuovo cambio automatico, il “NEXUS AUTO D”.

Il sistema è inserito in un mozzo/cambio/freno, all’interno c’è pure un piccolo motore elettrico che attua la cambiata comandato da due sensori, uno rileva la forza applicata ai pedali e l’altro la velocità del mezzo.  Questa accoppiata mi sembra la via più logica per arrivare ad avere una buona efficienza di questi automatismi, nel sistema non è stata dimenticata neanche la “volontà” del ciclista.

Il sistema dispone di un “cervello” (la CPU) alimentato da batterie comandato da pulsanti inseriti in un display  installato sul manubrio, è possibile usare la modalità normale “D”, oppure la modalità “DS” che permette di cambiare velocemente verso rapporti più bassi durante le salite o la modalità “M” per la selezione manuale dei rapporti mediante i pulsanti; tutte le situazioni sono visibili sul display.

 

                                  

                                   Display del cambio automatico “Nexus Auto D”

4.9.2      Cambio elettromeccanico

La ditta Mavic ha realizzato per prima questo tipo di cambio, lo ha denominato “ZMS” (Zap Mavic System), non so se poi altre ditte hanno proseguito su questa via............

Il concetto base è quello di facilitare l’azione di comando, invece di leve o manettini e cavetti/guaine ci sono due pulsanti  e due fili.

Il cambio, in linea di massima, è simile ai moderni cambi meccanici, ma lo spostamento della catena avviene mediante elettromagneti comandati dai pulsanti; l’energia per le elettrocalamite è fornita da una piccola dinamo inserita nella rotellina superiore del guidacatena  e quella per il circuito elettronico é fornita da una batteria inserita nel corno del manubrio.

Personalmente non l’ho mai provato, però diverse squadre di professionisti lo hanno montato, alcuni corridori della squadra Gan lo hanno usato in una Parigi-Roubaix, però a distanza di alcuni anni non ne vedo molte di bici equipaggiate con un simile cambio......questioni tecniche o di prezzo?

 

                                                

                                               trasparenza del cambio elettromeccanico Mavic

4.10 LE GOMME

Comincio col ringraziare quel certo signor Dunlop, era un veterinario di Belfast, perché verso il 1890 ha inventato i pneumatici.

Le gomme non fanno parte del sistema di propulsione vero e proprio della nostra macchina, ma in realtà esse sono l’ultimo anello della catena che collega i nostri piedi al terreno, l’ultimo anello per il trasferimento della potenza del ciclista alla strada, anello al quale è affidata anche la sicurezza del pedalatore (frenate).

Gomme gonfiate a pressioni troppo alte producono meno attrito volvente (vedere quaderno n.15 pag.7 ), trasferiscono la potenza con minor perdite, ma “tengono” meno in curva soprattutto in presenza di zone bagnate, inoltre sono più soggette a possibilità di “scoppio”;e  non dimentichiamo che incidono negativamente sulla schiena e sulla prostata.

Gomme troppo “molli” producono elevato attrito volvente ed anche radente, perché nel punto di contatto col terreno la gomma, anche striscia sul terreno, tengono meno in curva e in situazioni particolari possono anche levarsi dal cerchio, inoltre si scaldano di più (per i tubolari può essere un grave handicap perché viene facilitata la possibilità di scollamento dal cerchio).

La conclusione non può essere che quella di seguire le istruzioni del fabbricante, il quale generalmente da indicazioni riguardo la pressione di pompaggio in base al tipo tela e di mescola della gomma. Seguendo tali indicazioni ne beneficerà tutto il sistema di propulsione della macchina, perché con più è alto il rendimento di una macchina, meno energia è necessaria per farla funzionare.

5          SISTEMI “STRANI”

Voglio qui accennare ad alcuni tipi di propulsione che non rientrano nei tradizionali canoni cui siamo abituati, li ho classificati “strani” senza voler offendere alcuno.

5.1      a elica

La fantasia dell’uomo non è mai doma, ecco l’immagine di un insieme uomo/bici spinto da un’elica azionata da batterie.

 

 

Non ci sono commenti da aggiungere se non la pericolosità ed il peso del sistema, comunque ci hanno provato.

5.2      A motore a scoppio

In Francia erano denominati “Derny”, e li ho visti anche attorno a Ginevra; questi mezzi erano un assieme di pedali e motore a due tempi, praticamente un propulsore aiutava l’altro; non erano dei semplici “moped” (i primi motorini di 50 cc.) ma dei mezzi veloci, infatti la moltiplica era dell’ordine dei 60 denti.

Venivano usati molto in pista per “corse dietro derny”, sul tipo delle corse dietro “stayer.” Non conosco il motivo della loro mancata diffusione su strada (parlo di una trentina di anni fa).

5.3      A motore elettrico

Stanno prendendo piede le bici a “pedalata assistita”, cioè “aiutate” da un motore elettrico funzionante con batteria che si ricarica  con la rete 220 di casa.

Ce ne sono di diverse Marche (c’è pure la Mercedes Benz) e di diversi tipi; quasi tutte hanno il motore inserito in un grosso mozzo della ruota posteriore, la loro potenza si aggira sui 200 Watt, alcuni tipi possono fornire anche 750 Watt di spunto.   La batteria è generalmente al piombo, inserita in un apposito contenitore si stacca facilmente per essere portata nel posto più consono per essere caricata.   La velocità massima raggiungibile, senza pedalare, è dell’ordine dei 23 Km/ora.

Voglio anche aggiungere che i prezzi sono, o almeno erano, veramente contenuti.

Ne ho visti un bel numero di queste bici in circolazione lungo la riviera Romagnola; alla guida c’erano donne, anche con le borse della spesa e in genere persone anziane, questo denota la loro comodità e facilità di guida; secondo me sarebbero efficienti anche per circolare in città “difficili”come Roma con tutti i suoi saliscendi; ci sto facendo un pensierino anch’io!

5.4      Pedalata “indietro”

Quando ero studente (ero a Milano), un nostro professore aveva ideato una bici strana, l’aveva costruita lui e la usava normalmente; era una bici che veniva mossa pedalando in senso opposto al normale senso di rotazione dei pedali al quale sono abituati milioni di persone.

L’ho stuzzicato più volte per capire meglio l’utilità di quanto aveva fatto, ed essendo lui un ingegnere si addentrava in dimostrazioni teoriche che mi lasciavano stupefatto; lui ha continuato con la sua bici “retropedelante”, ma è rimasto lui solo.

Dal disegno che segue si può capire il funzionamento del sistema.

                       

Praticamente mediante due pulegge di rinvio (rinvio 1 e rinvio 2) si otteneva la rotazione del pignone nel senso giusto, pur pedalando indietro, e quindi la bici andava avanti.

Siccome l’appetito viene mangiando......io ho pensato che si poteva realizzare una bici con la quale si poteva avanzare sia pedalando normalmente e sia “contropedalando”; i due sistemi di pedalata interessano (forse) muscoli diversi o comunque gli stessi ma con funzioni diverse, perciò quando uno è stanco di un tipo di pedalata, può usare l’altra .

Il disegno che segue mette in evidenza il funzionamento del  sistema.

                       

Sostituendo il “rinvio 2” del disegno precedente con un pignone (pignone 2)  montato affiancato al  pignone 1 sullo stesso mozzo posteriore, si può capire dal disegno che in qualunque senso si girino i pedali, la bici va sempre avanti; i due pignoni possono anche avere numero di denti diverso.

Al di là della curiosa realizzazione, il sistema ha il difetto che, in ogni condizione di pedalata, il pignone che funziona solo da secondo rinvio, gira in senso contrario al pignone traente, con evidente attrito e consumo dei saltarelli e dei dentini interni; forse con qualche accorgimento “ad hoc” qualcuno potrebbe realizzare un nuovo tipo di bici.

 

Un’altra bici retropedalante è stata realizzata a Roma, a differenza del modello del mio professore, qui i due pignoni di rinvio era montati vicino alla moltiplica, comunque il funzionamento era identico; solo un lieve commento, secondo me in questa bici la catena “prendeva” troppo pochi denti dalla moltiplica.

5.5      Scatenate a cardano

Una bici con questo tipo di trasmissione l’ho vista e fotografata a Monaco di Baviera nel 1988, ecco la foto.

                       

Nella scatola del movimento centrale un ingranaggio conico di opportuno diametro ingrana con un corrispondente ingranaggio al quale è collegato l’albero sistemato all’interno del fodero  posteriore orizzontale; nella zona del mozzo della ruota posteriore una corrispondente coppia di ingranaggi conici trasmette il moto alla ruota; il mozzo comprende il cambio.

Apparentemente il sistema è efficiente, pulito, silenzioso, ma non mi sembra che abbia avuto uno sviluppo commerciale. Un’altra curiosità da museo?

Un modello simile è arrivata da Hong Kong, ho letto che è importata in Italia dalla “Ital-bike”, c’è anche il modello dotato del mozzo/cambio; avrei piacere di provarlo.

5.6      trazione integrale

Presento due modelli, sono ambedue relative a bici da fuori strada.

5.6.1      Bike Integral Power

Il  BIP  ha una vera e propria trasmissione della potenza dalla ruota posteriore a quella anteriore, il tutto si realizza con ruote dentate coniche montate sui mozzi delle due ruote ed un cavo di acciaio flessibile (in apposita guaina) che le collega meccanicamente.

L’ideatore asserisce che il sistema è applicabile facilmente a bici esistenti e che il peso aggiuntivo è inferiore ai 2 chilogrammi.

L’integralità della propulsione dovrebbe, in via teorica, aiutare il biker a superare punti difficili dove per qualsiasi motivo la ruota posteriore tende a perdere aderenza, però non ho mai visto nelle corse di MTB bici dotate di questo sistema, forse è un sistema più adatto per turismo fuori strada in zone impervie.

Facendo un paragone in campo automobilistico, non è detto che nei rallies siano le macchine a trazione integrale a vincere.

 

5.6.2      Trialtir,

Questo modello invece prevede l’uso delle braccia per trasmettere potenza alla ruota anteriore.

Un sistema di ruota libera, catena e molle imperniato davanti alla forcella anteriore, trasmette potenza alla ruota anteriore con un movimento di “vogata”, naturalmente mentre si pedala.

La foto che segue mette in evidenza il sistema ed il suo funzionamento; agendo sul manubrio come se si stesse remando, ad ogni tirata la catena trasmette potenza alla ruota anteriore.

L’idea mi sembra buona, permette di effettuare un buon allenamento integrale, però non ne ho viste in giro simili bici.

 

5.7      TRASMISSIONE IDRAULICA

Si tratta di un progetto del sig. Jesse Chattin (USA anno 1997); in questa macchina viene sfruttato il principio del passaggio attraverso un utilizzatore di un fluido ad alta pressione ed il suo ritorno alla pompa attraverso un circuito a bassa pressione.

Il fluido (olio) viene messo in pressione da una pompa ad ingranaggi (tipo la pompa dell’olio delle auto)  azionata dai pedali, un tubo “sottile” porta l’olio ad un “motore” consistente in un carter sigillato all’interno del quale ruotano due ruote dentate spinte dalla pressione dell’olio (praticamente l’inverso della pompa). Le due ruote dentate sono di diverso diametro, la più piccola è collegata alla ruota posteriore e la più grande serve a riconvogliare l’olio alla pompa attraverso un tubo “grosso” che funziona da circuito a bassa pressione.

La funzione di moltiplica è dovuta alla diversa larghezza e profondità dei denti delle due coppie di ingranaggi, la coppia della pompa e la coppia del motore.

Questo tipo di trasmissione si presta bene per attuare anche una trazione integrale; portare i due tubi dell’olio ad un “motore” collegato alla ruota anteriore sembra attuabile facilmente; comunque siamo ancora a livello di studio.

 

 

5.8      Economia

Ed a proposito di stranezze ecco un baldo giovane “equilibrato” che se va in giro tutto solo e con una ruota, sarà questione di economia, visto che i giovani normalmente hanno pochi soldi in tasca, o di eccelsa bravura? Simili equilibrismi li abbiamo sempre visti nei circhi......forse è uno di loro in “libera uscita”

6         PEDALATE - vari tipi

Da quando l’uomo ha iniziato a pedalare, tanti “cervelli” hanno pensato ad un possibile miglioramento dell’atto stesso della pedalata, da “rotonda” a”ellittica”a statuffo ecc.; tanti si sono sbizzarriti in soluzioni che fino ad ora si sono rivelate inutili,  poco pratiche o peggiorative,  (es. la retropedalata), ma forse anche soluzioni veramente migliorative non hanno avuto sviluppo commerciale o perché non sono state capite ed apprezzate o per motivi di convenienza commerciale. (l’impianto di una nuova catena di lavorazione costa in tutti i sensi).

Comunque qui di seguito illustro alcuni esempi.

6.1      pedal 4

Il sistema illustrato in figura, è stato presentato dalla Bray-System di Vicenza.

Con questo sistema la pedivella diventa praticamente più lunga quando si trova in posizione orizzontale in avanti e invece più corta quando viene a trovarsi orizzontale all’indietro; in altre parole, quando la gamba del ciclista si trova nella posizione più favorevole per la spinta, la leva della potenza si allunga, mentre si accorcia quando la posizione della gamba è quasi in posizione di riposo. Il percorso del pedale risulta essere una figura “quasi ellittica”

 

                                  

 

Il costruttore asserisce che con questo sistema c’è una riduzione del 30% dello sforzo della pedalata; questo valore potrebbe essere reale perché la riduzione dello sforzo è proporzionale al rapporto esistente tra la lunghezza della pedivella vera e propria ed il braccio aggiuntivo che regge il pedale.

Però mi sembra che lo stesso risultato si possa ottenere con una moltiplica ellittica con il diametro minore posto a 90° dall’asse della pedivella; in pratica, invece di allungare il braccio della potenza, come fa il sistema Pedal 4, si accorcia quello della resistenza ottenendo, credo, lo stesso risultato.

Per parlare di rendimento bisogna tenere presente anche gli attriti supplementare, come quello che l’asta di guida dei pedali incontra scorrendo nella sua sede.

Un commento generale si trova alla fine di questo capitolo.

6.2      r 88, il pedale del 2000

Questo pedale presentato come un fiore all’occhiello della biomeccanica, funziona esattamente come il sistema presentato sopra, solo che è realizzato in modo molto più razionale e tecnico.

Il pedale non è avvitato direttamente sul terminale della pedivella ma in quel punto c’è un notevole ingrossamento che alloggia un sistema di snodo sul quale è avvitato, eccentricamente, il pedale.

Grazie a questo eccentrico è come se la pedivella (il braccio della forza) si allungasse quando si trova il posizione “quasi orizzontale”, cioè quando gamba può dare la massima potenza, e viceversa quando la gamba si trova i posizione di “debolezza”. Anche con questo sistema la pedalata diventa ellittica.

Il costruttore dichiara una riduzione della ”fatica” del 2,5-3%, mi sembra più realistico del costruttore precedente, ma prima di parlare di riduzione della fatica bisogna considerare tutto il ciclo della pedalata.

6.3      Trazione-Z

Anche questo è un sistema molto similare al “Pedal 4”, si differenzia solo per le migliori soluzioni tecnologiche ed estetiche.

 

                                               Trazione – Z

Naturalmente la pedalate risulta ellittica ed il tutto appare molto ingombrante

6.4      ALLUNGAMENTO DELLA PEDIVELLA

Presento due sistemi studiati e realizzati in Italia.

Questi sono realizzati meccanicamente in modo diverso dai  precedenti sistemi, comunque il risultato è similare.

 Uno dei sistemi prevede proprio un “pezzo” di pedivella (al quale è avvitato il pedale), che con una apposita guida scorre quasi come uno stantuffo sul corpo della vera pedivella e, sotto la forza impressa al pedale, “esce” allungando così la leva della potenza; questo avviene nella solita posizione della pedivella quasi orizzontale in avanti e “rientra” nella posizione opposta ; la pedalata risultante è naturalmente ellittica con l’asse maggiore sempre nella posizione di massima possibilità di sforzo da parte del ciclista.

L’altro sistema prevede una appendice imperniato al termine della pedivella, su questa appendice è avvitato il pedale; la “fuoriuscita” di questa appendice con pedale è contrastato da una molla tarabile, in altre parole, anche qui quando il ciclista “spinge” la appendice “esce” e la leva della potenza si allunga e viceversa quando il piede torna verso il punto morto superiore.

6.5      CONSIDERAZIONI

Come ciclista una domanda in merito ai sistemi di pedalata illustrati sopra la devo fare, me la faccio così a vuoto, ma la faccio ugualmente. Ecco la domanda.

Perché proprio nel momento di maggior potenza disponibile (distensione dell’assieme coscia/gamba) tanti tecnici hanno pensato di allungare la leva della potenza? Mi sembra un controsenso; in quel momento il ciclista incontra certamente minor resistenza, quindi i sistemi servono a far riposare i muscoli?  Se è così e il sistema viene applicato a bici da turismo potrebbe andare tutto bene, ma per le bici da corsa mi sembra logico che bisognerebbe invertire il funzionamento di detti sistemi, cioè nella zona di maggior forza disponibile converrebbe usare un  braccio della potenza più corto rispetto a quello che si ha quando il piede è in risalita.

Non bisogna dimenticare durante la fase di discesa del pedale si trasmette alla bici quasi il 60% della potenza disponibile.

6.5.1      Moltiplica ellittica

Ho gia accennato al par. 6.1 alle moltipliche ellittiche, qui cercherò di completare il discorso.

L’ellissi è una figura geometrica chiusa che ha due diversi diametri, in altre parole si presenta “schiacciata” o “allungata” a seconda dei punti di vista di chi la progetta e di chi la usa.

Perché questo tipo di moltiplica?  Il discorso è sempre legato al tentativo di migliorare il rendimento del sistema di propulsione della bici.

Per essere chiari sull’uso di questo tipo di moltiplica bisogna partire da un dato fisso, cioè da una moltiplica circolare, un cerchio, (”CIR” nel disegno) e poi parlare di schiacciamento ( diminuzione del diametro secondo un certo asse ” SC “) o allungamento (aumento del diametro secondo lo stesso asse ”ALL”).

                                  

La figura mostra una pedivella P nella posizione di quasi massima potenza dell’arto con tre possibili moltipliche, la circolare CIRC. la schiacciata  SC. e la allungata  ALL.

Si possono fotografare i seguenti tre casi nel momento in cui una pedivella si trova orizzontale in avanti,

1) Con una moltiplica circolare il rapporto tra il braccio della potenza (P) ed il braccio della resistenza (raggio CIR.) ha un certo valore che possiamo chiamare X (P/CIR = X).

2) Con una moltiplica SC. il rapporto P/SC sarà maggiore di X, perché in quel momento il raggio di SC è minore di CIR e quindi il ciclista farà MENO sforzo (è diminuito il braccio della resistenza)

3) Con una moltiplica ALL il rapporto P/All sarà minore di X, perché il raggio di ALL, in quel momento è maggiore di CIR e quindi il ciclista farà PIÙ sforzo. (è aumentato il braccio della resistenza)

Sulle ultime due situazioni ci sono state tante discussioni per evidenziare quale poteva essere la soluzione migliore, ma ognuna delle due ha dei pro e dei contro; cerco di riassumere:

Se le caratteristiche del ciclista lo portano a preferire una pedalata agile, più adatta allo scatto, si deve optare per l’uso di una ellittica SC.

Se invece le caratteristiche del ciclista lo portano a pedalare di forza, si deve optare per l’uso di una ellittica ALL .

Mi sembra che la lunga discussione può finire qui a parte il commento finale dell’ultima pagina.

6.5.2       biopace shimano

Dopo studi effettuati dalla Shimano sul problema della moltiplica ellittica, i tecnici hanno scelto una soluzione quasi salomonica, una soluzione quasi intermedia tra le due estreme illustrate sopra, e la hanno chiamata BIOPACE (computer designed drive system, se non c’è di mezzo il computer.......)

Naturalmente la Shimano ha fornito tutte le spiegazioni del perché e del percome della sua soluzione, armonia della pedalata, benefici per il corridore (3% di risparmio di energia) ecc. ecc.; sulla mia fuori strada ho la moltiplica piccola biopace, ma quando la uso non mi ritrovo affatto con una pedalata armoniosa, mi sembra che le gambe siano degli stantuffi!.

Però a distanza di qualche anno dalla sua commercializzazione mi sembra che non si parli più di biopace!

6.6      Riepilogando.........

6.6.1      Stranezze

Senza voler offendere alcuno, voglio dire che il campo della bicicletta è rimasto vivo per anni, ed è tutt’ora vivo grazie alle innumerevoli botteghe artigiane, alle volte sistemate in piccoli locali e gestite sopratutto grazie alla passione dell’artigiano; c’erano anche anni fa delle grandi fabbriche italiane (Bianchi, Lagnano, Atala, ecc.), ora ci sono anche le “multinazionali”, ma il cuore e l’inventiva dell’uomo vivono ancora e ogni tanto spunta fuori un’ idea che subito l’artigiano realizza e con questa sogna un certo avvenire (presentazione alla mostra del Ciclo, sponsor, vendite, guadagni, ecc)

Con tante idee realizzate con le relative tante spese, si sono anche “rovinate” diverse officine perché le loro “invenzioni” non avevano alcuna solida base tecnica; alcune “idee” invece hanno trovato la loro giusta via “commerciale” e la bici, dalla “draisina” è arrivata fino alle nostre superleggere.

Ecco alcuni esempi di realizzazioni “strane”

6.6.2      Pedalare con 60 denti

Ad una “Mostra del Ciclo e del Motociclo”di qualche anno fa, in uno stand era esposta una bici con una moltiplica di 60 denti e veniva reclamizzato il fatto che con il nuovo sistema si poteva usare tale moltiplica con grandi vantaggi ecc. ecc.   Io sono curioso e guardando bene ho notato che la pedivella non era calettata direttamente sulla “moltiplicona” ma ad un ingranaggio che si trovava all’interno di una corona dentata solidale alla moltiplica, in pratica lì dentro c’era un riduttore di rapporto, forse di valore pari a 52/60, e quindi tutto ridiventava “normale”; la nuova invenzione era una bufala.

Il lavoro era fatto molto bene, non era un “accrocco”, chissà quanto era costato al cosidetto inventore, e c’è da chiedersi se lui sapeva o no come funzionano i sistemi di trasmissione del movimento, in particolare quello della bici!?

6.6.3      Avanti

Sempre ad una Mostra è stata presentata una pedivella sagomata ad angolo retto, come il simbolo che segue, ” é”; il lato più lungo era calettato alla moltiplica e quello più corto al pedale.

L’inventore sosteneva che la forza veniva applicata alla trasmissione “prima” (degli altri corridori) per il fatto che il pedale si trovava già avanti nel momento in cui la pedivella era ancora verticale.

Bastava sapere, o far sapere all’inventore, che tra il punto di attacco della leva della potenza (FULCRO, perno centrale, moltiplica) ed il punto dove è applicata la forza (pedale) ci può stare in mezzo tutto quello che si vuole, purché sia rigido; quello che conta è la distanza tra i due punti (lunghezza della leva).

E questa pedivella è stata usata da una o due squadre di professionisti.......quanto sarà costata all’”inventore”?

6.6.4      Pedalata a pistone

Su una rivista specializzata è apparso un nuovo sistema di pedalata, i pedali si muovevano solamente in su e in giù, proprio come un pistone di un motore a scoppio.

Era un bel marchingegno, avrei fatto i complimenti al suo ideatore, infatti è stato premiato ad un concorso in Francia, però il tutto è rimasto nel campo delle curiosità.

7         CONSIDERAZIONI FINALI

7.1      Sistemi moderni

I sistemi moderni relativi alla propulsione della nostra fedele bici non li ho presi in considerazione, sono troppo alla portata visiva e manuale di ognuno di noi; forse, tra una decina d’anni, (se Dio vorrà), quando anche i nostri sistemi moderni saranno “vecchi”, ne potrò parlare a beneficio di quei giovani che da poco sono scesi dal “triciclo” per salire sulla loro prima Mountain Bike.

7.2      conclusione

Tornando alle pedivelle ed alle moltipliche, l’autore dell’articolo “LA BICYCLETTE” di una autorevole rivista francese “LA RECHERCHE”, si chiede se questo sforzo sui pedali che si vorrebbe render continuo e costante è veramente utile ai muscoli? Per un loro buon rendimento nel tempo i muscoli non hanno bisogno anche di brevi tempi di rilassamento?  E quindi quel breve tempo della risalita del pedale in cui il muscolo si riposa, non sarebbe il caso di lasciarlo così come è da anni? Le biciclette dei professionisti e le loro prestazioni, gli danno ragione.

Sono sempre stato dell’opinione che diverse innovazioni riguardanti la nostra macchina erano, e sono, sopratutto un fatto commerciale e non sono realmente dei miglioramenti utili per le prestazioni del ciclista; fatto il lancio commerciale della novità, positivo o no, dopo qualche anno torna il silenzio, anzi alle volte si presenta un’altra innovazione opposta alla precedente....un colpo al cerchio e uno alla botte....e la gente spende... Ci sono state e ci saranno sempre, in tutti i campi, tante lucciole vendute per lanterne, comunque anche questi fatti sono stati di aiuto, e lo sono ancora, per  tenere vivo l’interesse per la bici.

 

Saluti cordiali a tutti e BUONE PEDALATE                                       Lino

domenica 17 aprile 2005


 

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