Home Page La Squadra Archivio Notizie Tecnica & Altro Punto di Ritrovo Calendario Team2001 Forum Team2001 Links

La domenica fangosa di uno stradista

(ma la MTB non mi doveva servire per portare a spasso mia figlia?)

Comincio con la maglia a maniche lunghe, poi passo a maniche corte con manicotti, poi via anche i manicotti. Un clima di grande incertezza metereologica caratterizza – sul piazzale della Caserma Piave di Orvieto – l’attesa del via  della 15^ edizione della Gran fondo degli Etruschi. Alla fine quasi tutti i 400 partecipanti optano per la tenuta leggera. E in effetti, durante la corsa non pioverà mai: l’acqua arriverà dal basso!

 

Si parte su discesa asfaltata: gran puzza di ferodi, ma va tutto liscio. Appena imboccato lo sterrato vedo mio fratello Guido 30 metri davanti a me. Lo raggiungo e provo a chiacchierare per stemperare la tensione. Ovviamente dico cose senza senso. Siamo su solida breccia di calcare, ma la prima buca con acqua mi fa subito capire l’aria (o meglio l’acqua) che tira. Via  subito gli occhiali (inservibili) e prepariamoci al peggio. Si viaggia a 37/38 km/h. Vedo davanti i Ktm e la maglia tricolore del campione nazionale. Curiosamente siamo ancora nel gruppo dei primi. Optando di continuo tra schivate da brivido e tuffi speranzosi, arriviamo a un piccolo guado. Senza grande fiducia avanzo tra i pietroni e, nonostante il rapportone, ne esco con dignità. Nel frattempo Guido è scomparso; saprò molto più tardi della sua ammucchiata e del suo ginocchio gonfio e tumfatto. Anche gli altri due amici con cui abbiamo raggiunto Orvieto la mattina presto sono scomparsi nelle retrovie. Ok, sono solo, diamoci da fare e cerchiamo di uscirne con dignità

.

Curva secca a sinistra ed ecco la salita. I primi…scompaiono. Cerco di trovare un ritmo dignitoso ma non è facile: seduto mi sento un pò “chiuso”, in piedi slitto e saltello (a quando una forcella bloccabile?). Vedo una ragazza minuta pochi metri innanzi a me. La raggiungo mentre dal pubblico la informano che è la prima delle donne. Non male, penso, ma sbagliano (oppure si tratta di una pietosa bugia): lo scoprirò qualche ora più tardi.

 

Si scende. Comincia il fango ma va tutto bene fino a che non mi devo fermare incolonnato dietro 8-10 bikers. C’è il guado di un fosso (eufemismo per fogna a cielo aperto). Un esagitato supera la fila appiedata e si infila di testa nell’acqua maleodorante. Nessuno ne saprà più nulla. Si attraversa una cava spettrale e si esce su asfalto. E’ la salita lunga ma pedalabile di Torre Alfina. Ancora una volta maledico la forcella. Una ventina di minuti di passione e sono in cima. Da Orvieto sono circa 30 km. Di acqua (intendo quella da bere) neppure l’ombra. Arriverà più avanti, per fortuna ho “gestito” bene la borraccia.

 

Si entra nel bosco. Bello, pianeggiante, c’è una signora che va a funghi e… c’è un po’ di fango. Ops, aumenta il fango. Ops, si comincia a derapare. Ecco una fattoria…ed ecco il solito cagnaccio. Accelero, cioè, scappo. Curva secca a destra nel fango, scivolata con crampi a tutte e due le gambe. Arriva il bastardone e ….mi lecca la mano!

 

Da qui in avanti è un calvario. Tanto fango, tante pozze, il cambio lavora male. La catena si blocca tre volte spedendomi ogni volta disteso nella mota. Qualcuno che sulla salita ansimava mi supera a doppia velocità (io li odio questi maledetti bikers).

 

“Discesa pericolosissima” dice un cartello: scendo e mi sento un coniglio. Riparto e sul ripido squilla il cellulare. Che faccio, me ne frego? E se fosse il fratellino in difficoltà. Guardo il dispay e vedo il nome di un amico milanese: io li odio i milanesi! Sempre inopportuni. Riparto ma continuano i sorpassi. Ormai saranno una ventina: non faccio in tempo ad abituarmi alla maglietta di chi mi precede che subito la vedo sparire nel bosco.

 

Vabbè, cerchiamo di andare al traguardo. Ecco una forra con un salto di 15 metri, ed ecco puntualmente un cretino del pubblico che mi informa che i primi non sono scesi dalla bici. Io invece scendo, mi calo nell’orrido, ne approfitto per far pipì e liberarmi di qualche etto di didò dalle scarpe e riparto. Curva a destra e strappo al 20%. Provo a mettere il montino che, ovviamente, non ne vuole sapere. In un impeto di orgoglio spingo forte sulla corona media e supero 4 o 5 disgraziati sfrullinanti (mi ripasseranno appena ricomincerà  il triste binomio fango-discesa. Guardo il contachilometri: 48 km. A detta dello starter dovrebbero essere 62. Piego la testa in un moto di rassegnazione e ricomincio a schiaffeggiare i muscoli crampati. Poi uno spettatore mi dice che manca poco. Io penso sì, manca poco alla tua morte per soffocamento. Salgo su un ciottolino con 4 o 5 bikers davanti a me. Potrei superarli, ma penso “che lo faccio a fare, tanto poi mi sverniciano in discesa”. E invece lo spettatore aveva ragione: entriamo nel paese di San Lorenzo. Allora almeno decido di superarlo. Mi alzo sui pedali e chiudo il mio impegno con la famosa dignità tanto ricercata. Arrivo pedalando senza mani salutando il pubblico che applaude. Una bella cosa, soprattutto, pensando alla mia posizione finale (128°).

 

Sul piazzale di San Lorenzo alcuni funambuli della bici intrattengono il pubblico con virtuose evoluzioni. I ciclisti al traguardo sono coperti di un fango sottile, nerastro, ormai rappreso.  Capisco di aver sbagliato tutto, ma sono contento lo stesso.

Marco Baldi